venerdì 9 aprile 2010

Ai monaci e alle monache dell'Ordine di San Benedetto / ultima parte


Mi accorgo che questo vi disturba. Anche nella Chiesa, si sentono pronunciare delle proposte così sbalorditive sull'arte sacra che temete di trovarvi sorpassati. Vi percepite come un'antica vestigia medievale nel mezzo di una Chiesa che si concede a un distratto aggiornamento, che corre verso forme di preghiera, liturgia e arte alle quali è chiesto anzitutto di essere inedite, senza tenere conto delle prescrizioni conciliari e malgrado le sagge resistenze della gerarchia. In un mondo in perpetuo divenire, si vorrebbe che la Chiesa lo sposasse e facesse cambiare tali forme in funzione dell'evoluzione del mondo. Ma non è questo che le anime si attendono. Esse non hanno a che fare con l'evoluzione del mondo: ne soffrono, piuttosto che gioirne. Ciò di cui hanno sete è una "sorgente d'acqua che zampilla per la vita eterna" (Gv 4,14). Se da una parte la Chiesa non disconosce i bisogni del tempo, essa è tuttavia anzitutto la sposa dell'Eterno: ci strappa al Tempo per consegnarci all'Eternità. Così ci allontaneremo finalmente da quanti non sanno inserirsi che nel tempo, di cui diventano prigionieri, e ci dirigeremo sempre più verso voi la cui vita è un linguaggio che parla di Eternità. Fareste dunque un calcolo sbagliato riguardo il vostro posto nella Chiesa, abbandonando quello che occupate così nobilmente e nel quale nessuno vi può sostituire. Non abbiate paura di rimanere immobili o di avere l'aria di restare tali in un mondo divorato dalla velocità: voi avete scelto un Amore che è senza cambiamento, seppure veloce come un fulmine.
Noi proveremo, noi laici, a salvare la musica gregoriana ovunque lo potremo fare. I monaci e le monache possono salvarla ancor più di noi, perché si tratta del loro cibo quotidiano, e voglio credere che non ne sono sazi: è il loro respiro. Si potrà sempre ammirare il timpano e i capitelli di Vézelay; continueranno a ispirare santi pensieri agli uomini fino alla fine dei tempi, perché è sufficiente guardarli con animo aperto (trascuro il caso in cui la rabbia degli iconoclasti li riducesse in polvere). La musica, essa, dev'essere eseguita e ascoltata, senza di che è votata alla morte pura e semplice o alla morte delle biblioteche. Vi appartiene quindi di mantenere in vita il canto gregoriano: è un obbligo che dovete assolvere com'è, d'altro canto, un obbligo plurisecolare del vostro Ordine quello di salvare tutto ciò che costituisce una ricchezza per la cultura degli uomini. Se la Regola di san Benedetto non ne fa menzione, la storia lo riconosce come uno dei gioielli più belli della vostra corona. Che dirà la posterità se si accorgesse che voi - in passato, salvatori di così tante opere, anche pagane, che non avete lasciato perire perché costituivano un peso indubbio nella bilancia delle cose dello spirito - vi siete mostrati incapaci di salvare il vostro proprio tesoro?

[André Charlier (1895-1971), Aux moines et aux moniales de l'Ordre de saint Benoît, articolo-appello del 1967 comparso nel volume Le chant grégorien edito da Dominique Martin Morin (Bouère), di cui una prima versione risale al marzo 1965 (Itinéraires, n. 91), poi in Itinéraires, n. 246, settembre-ottobre 1980, pp. 78-84 (qui pp. 83-84), trad. it di fr. Romualdo Obl.S.B. - 4 / fine]

Share/Save/Bookmark