venerdì 7 maggio 2010

Gli oblati benedettini / prima parte

[Dom Jean-Martial Besse (1861-1920), benedettino della Congregazione di Solesmes, all’origine della famosa abbazia di Saint-Wandrille, fu uno storico erudito nonché il direttore spirituale dello scrittore Joris-Karl Huysmans (1848-1907)]

Gli ordini religiosi vedono raggrupparsi attorno alle loro comunità dei sacerdoti e dei fedeli che s’ispirano alle loro dottrine spirituali e alle loro regole per condurre, nel mondo, una vita seriamente cristiana. Quanti domandano questo servizio ai monasteri benedettini hanno ricevuto, già da molto tempo, il titolo di oblati di San Benedetto. Sono ammessi, dopo un anno di noviziato, a compiere un’oblazione, un’offerta della loro persona al monastero, nelle mani del Padre Abate o di un religioso delegato a tal fine. In caso di necessità questa delega può essere conferita a un sacerdote secolare. Il monastero accorda ai suoi oblati l’affiliazione spirituale, cioè la partecipazione alle preghiere e alle buone opere dei suoi membri. Il noviziato ha inizio con la presa d’abito, o vestizione; gli oblati ricevono in tale occasione uno scapolare nero, insegna della famiglia benedettina.
Il monastero benedettino conduce i monaci, che costituiscono la sua famiglia interna, alla ricerca della perfezione cristiana, mediante la pratica dei voti religiosi, conformemente alla Santa Regola e alle Costituzioni particolari di ciascuna congregazione monastica.
Gli oblati, che costituiscono la famiglia esterna del monastero, imitano la vita dei monaci, nella misura in cui le loro condizioni glielo consentono, conformando la loro vita alle massime fondamentali della Regola di san Benedetto e osservandone alcune pratiche claustrali compatibili con il genere di vita che devono condurre. Più che a seguire le osservanze della Regola benedettina, devono appropriarsi dello spirito di essa. Ciò nonostante, costoro non perdono di vista l’esistenza di servitori di Dio nel loro chiostro.
Per ottenere dal Signore la grazia d’imitarlo, anche da lontano, recitano la seguente orazione:
Excita, Domine, in Ecclesia tua spiritum cui beatus Pater noster Benedictus Abbas servivit, ut eodem nos repleti, studeamus amare quod amavit et opere exercere quod docuit. Per Christum Dominum Nostrum. Amen.
(“Alimenta, Signore, nella tua Chiesa lo spirito che animava il nostro beato Padre Benedetto Abate, affinché, una volta noi stessi colmati di esso, ci applichiamo ad amare ciò che amava e a realizzare nelle nostre opere la sua dottrina. Per Cristo Nostro Signore. Amen”.)

La conversione dei costumi

Donandosi a Dio, alla beata Vergine Maria e al santo Padre Benedetto, l’oblato promette la conversione dei costumi secondo lo spirito di san Benedetto [cfr. RB LVIII, 17] e gli statuti dell’oblatura. San Benedetto comprende in questa conversione dei costumi – conversio morum – l’insieme delle obbligazioni che impone la professione monastica. Del resto, al suo tempo i termini conversione dei costumi e professione monastica erano dei sinonimi.
Si tratta di una conversione dal male al bene e dal meno bene al meglio, che dura per la vita intera. La Santa Regola, le Costituzioni del monastero e l’autorità dell’Abate ne organizzano la pratica per il monaco e la monaca.
Una tale conversione equivale alla ricerca della perfezione cristiana; essa è dunque alla portata degli oblati e delle oblate che vivono nel mondo. Costoro la esercitano mediante la pratica delle virtù cristiane e la portano a compimento tramite i loro doveri di stato, con tutta la cura di cui sono capaci. L’opera di conversione dei costumi si effettua anzitutto nel fondo del cuore. Quando l’anima ha, su tale soggetto, delle convinzioni e delle risoluzioni fortemente radicate, le diventa agevole di esprimerle mediante gli atti.
Per ottenere tale grazia, è buona cosa recitare frequentemente il versetto dell’oblatura:
Suscipe me, Domine, secundum eloquium tuum et vivam, et ne confundas me ab exspectatione mea.
(“Accoglimi, Signore, secondo la tua parola, e vivrò: e non mi lasciar deluso nelle mie speranze” [Sal 118,116; RB LVIII,21].)

Lo spirito benedettino

Lo spirito benedettino, che deve informare la vita degli oblati, si manifesta ed è mantenuto dai caratteri distintivi dell’Ordine di san Benedetto. Eccone i principali: la separazione dal mondo, l’intelligenza e l’amore della liturgia, l’obbedienza, la mortificazione, il lavoro, la vita in famiglia, la devozione al prossimo e la fedeltà alle tradizioni.
Un monastero benedettino si riconosce fra mille da questi segni, che permettono ugualmente di discernere una vocazione benedettina.
Gli esercizi del noviziato e gli studi che si compiono in seguito hanno quale fine di coltivarne presso i nuovi arrivati il gusto e di trasmetterne l’intelligenza e l’amore. Le osservanze monastiche non fanno che metterli in opera.
I medesimi segni servono a riconoscere, presso un fedele, le attitudini richieste per diventare oblato. Non si può ammettere un oblato alla prima vestizione, e ancora meno alla professione, se nulla – nel suo linguaggio o nelle sue opere – lo rivela. Meglio sarebbe per un monastero non avere alcun oblato, piuttosto che reclutarne al di fuori di tali condizioni.
La meditazione personale e la lettura d’opere appropriate a conculcarne il significato e la portata, sviluppano nello spirito degli oblati questi caratteri; la direzione che è loro data li stimola e li guida; la loro santificazione personale ha questo prezzo.
Al di fuori di ciò gli oblati non potrebbero esercitare attorno a sé un influsso salutare. Perché tale influsso dev’essere esercitato: è l’irradiamento indispensabile della vita del monastero sulle società che lo circondano.

[Dom Jean-Martial Besse O.S.B. (1861-1920), Les Oblats de saint Benoît, opuscolo del 1918, poi in Itinéraires, n. 320, febbraio 1988, pp. 73-90 (qui pp. 73-77), trad. it di fr. Romualdo Obl.S.B. - 1 / continua]

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