lunedì 5 luglio 2010

Gli oblati benedettini / ultima parte

La vita in famiglia

San Benedetto definisce il monastero un esercito di fratelli – acies fraterna [cfr. RB I,5] –, ovvero una famiglia i cui membri conducono assieme le battaglie della vita spirituale. In effetti, la Regola organizza il monastero come una famiglia: il capo è un padre, abbas, e quanti vi abitano sono dei fratelli. Tale carattere familiare domina l’intera Regola, come pure la storia dell’Ordine benedettino.
Penetrati da questi sentimenti, gli oblati vedono nella famiglia un’istituzione sacra; vi si collegano come al quadro naturale della loro esistenza, ne amano e ne conservano lo spirito, anche quando le circostanze li obbligano a separarsene.
Gli oblati compiono con delicatezza e generosità i doveri spirituali e materiali che una tale fedeltà impone loro. È da ciò che deve sempre cominciare l’esercizio della carità.
Gli oblati reagiscono, con tutte le loro forze, contro le idee, le istituzioni e i vizi contrari al vigore fisico o morale e alla prosperità della famiglia, come pure incoraggiano personalmente ogni azione finalizzata a fortificarla.
Nell’azione religiosa che esercitano, non perdono mai di vista la famiglia, ed è questo il modo migliore per evitare gli scogli dell’individualismo. Non separano in nulla i loro interessi materiali dalla pratica delle virtù che li possono sostenere.
Per quanto li riguarda, quando hanno l’onore di essere dei capi di famiglia, fanno il giusto spazio a Dio, compiendo insieme i principali doveri religiosi: l’accostamento all’eucaristia, l’assistenza agli Uffici in parrocchia, le preghiere della sera. Onorano con un culto speciale i santi patroni; consacrano, con la preghiera, la Messa e la comunione, l’anniversario dei defunti, dei battesimi e dei matrimoni. S’ingegnano a temperare, con pensieri di fede, tutte le gioie e tristezze del focolaio domestico, e a rendere per quanto possibile dolce e gioiosa questa vita religiosa in comune.
La vocazione sacerdotale o religiosa di un figlio è ai loro occhi il più grande onore che Dio possa fare a una famiglia, e i genitori non temono di sollecitarla. Se Dio accorda loro una corona di numerosi figli, essi sanno felicitarsene e benedire; è crescendoli che essi sono assai più utili alla Chiesa e al loro Paese.
Le famiglie non sono isolate le une dalle altre; si aggregano in società e, al suo vertice, si trova la nazione, che le ingloba e fornisce loro un quadro. Come la famiglia, la nazione è voluta da Dio, il quale ci prescrive dei doveri a suo proposito, ricollegabili a due: la sottomissione alle leggi e il patriottismo. Gli oblati ne rendono soprannaturale la pratica mediante un sentimento di fede e tramite la preghiera.
Il loro patriottismo dev’essere intelligente e vivificato dagl’insegnamenti della Chiesa e il rispetto dei suoi diritti.
Opporsi alle leggi ingiuste, alle idee che le motivano e agli uomini che le fanno e le applicano, è servire il proprio Paese. Parimenti si dica nei casi in cui la trasmissione di una legge è un dovere. I cristiani, allora, si liberano da ogni passione per non obbedire che alla propria coscienza, illuminata dalla dottrina della Chiesa.
Gli oblati cercano di conoscere esattamente la natura e l’estensione dei propri doveri nella società, cioè verso la patria, il comune o la parrocchia, la regione, la condizione o la professione. I legami che li uniscono a tali ambiti provvidenziali non sono mai privi di obbligazioni. Occorre esserne coscienti e renderli soprannaturali, penetrandoli di carità cristiana.
Per entrare in questo spirito, gli oblati servono quanto meglio riesce loro gli uomini con i quali vivono, lavorano e si santificano. La loro efficace devozione al Paese, alla città o al villaggio che abitano, alla professione che esercitano, alla condizione cui appartengono, li porta a dispensare un’attività generosa, anziché lasciarla al caso, non importa come, in favore di oziosi di passaggio, e perciò fuori controllo e privi di responsabilità. Si risparmiano così uno spreco peccaminoso delle loro risorse e del loro tempo.
Gli oblati costituiscono una famiglia attorno al monastero; sono dei fratelli. Si riuniscono almeno una volta al mese, e in particolare nelle grandi feste dell’Ordine, per trascorrere assieme una giornata monastica, impiegata nel canto della Messa e dei Vespri, ricevendo gl’insegnamenti del direttore e occupandosi in altri esercizi pii. L’organizzazione di queste riunioni non può essere la medesima per tutti i monasteri. Spetta all’abate o al maestro degli oblati di prepararla e metterla in opera.

Le tradizioni

Le famiglie e le società conservano un insieme di pensieri, di sentimenti, di costumi che i loro membri si trasmettono. Sono le tradizioni, che assicurano la forza e la vita delle società, conservando il presente sotto l’influsso del passato. Nelle nazioni che sono state a lungo cattoliche, queste tradizioni conservano in sé lo spirito cristiano, in una forma e in condizioni che ne facilitano la diffusione.
Le abbazie benedettine sono considerate, a ragione, delle scuole in cui il rispetto delle tradizioni è accuratamente conservato: è un effetto della loro lunga storia.
Gli oblati devono seguire il loro esempio. Costoro si guardano quindi bene contro l’amore eccessivo delle novità, che precipitano le società nell’anarchia e nella rivoluzione, e che rendono gl’individui incapaci di mettere a profitto le esperienze acquisite. I princìpi immutabili che devono reggere le società e disciplinare gl’individui gli bastano, e il modo migliore di non allontanarsene mai è ancora una volta la fedeltà alle tradizioni. Anch’esse non sono che un’applicazione della sapienza alla vita degli uomini in società.
Queste riflessioni non devono sembrare oziose: sono ispirate dalla condizione che la Provvidenza ha dato agli uomini e nella quale si devono santificare, ricercando, al di sopra di tutto, la perfezione cristiana.

[Dom Jean-Martial Besse (1861-1920), Les Oblats de saint Benoît, opuscolo del 1918, poi in Itinéraires, n. 320, febbraio 1988, pp. 73-90 (qui pp. 87-90), trad. it di fr. Romualdo Obl.S.B. - 6 / fine]

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