mercoledì 25 maggio 2011

Una regola di vita interiore / ultima parte

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La Regola di san Benedetto

Nello stesso tempo dolce ed esigente, ampia d’orizzonti, capace di abbracciare il destino degli uomini di tutti i tempi, e attenta verso i più piccoli tra noi, di cui indovina le più segrete aspirazioni, la Regola di san Benedetto – non bisogna meravigliarsene – ha sempre attirato e conquistato le anime desiderose di calcare i sentieri della via stretta. E l’oblatura benedettina, attraverso i muri dei nostri monasteri, non significa altro che questa fiducia manifestata dalle famiglie e società verso una legislazione che il tempo e l’esperienza hanno reso capace di forgiare la nostra spiritualità occidentale. Indirizzandosi ai benedettini di San Mauro in un panegirico di san Benedetto, Bossuet diceva loro: «I mondani corrono alla servitudine avendo la libertà; voi, cari Padri, andate alla libertà attraverso la dipendenza». Talvolta questa dipendenza che ci lega a Dio e ci libera da noi stessi ci spaventa, almeno fino a quando non l’abbiamo gustata, ma essa è la legge suprema delle società, e vi invito a scoprirvi quel non so che di puro e familiare, prima dell’irrigidirsi del mondo, che corrisponde alle prime epoche della Cristianità e che si chiama, non senza ragione, la primavera della Chiesa.
Giorno dopo giorno, la lettura della Regola unirà le vostre più piccole azioni a quelle dei vostri fratelli monaci. Niente vi impedirà allora di seguirli in spirito, nella lettura, o di ascoltare attorno al loro Padre Abate le sante letture, coltivando la terra che è l’immagine della bontà di Dio e di trarne un cantico di benedizione. Vedeteli in preghiera e al lavoro in questa specie di villaggio la cui architettura sembra salire essa stessa verso Dio notte e giorno con il canto dei salmi; qualcosa che assomiglia alla pace del primo giardino dove Dio veniva a parlare con Adamo alla brezza del giorno, dove lo sforzo quotidiano non consiste in nient’altro che obbedire, ad amarsi l’un l’altro, a vivere e a camminare alla presenza del Dio invisibile. Non è forse consonante con il progetto che ogni anima vuole fare della sua esistenza un inizio di vita eterna?
Lavoriamoci per esserne persuasi. La regola suprema di tutte le nostre convinzioni è la fede. Una fede sempre al risveglio e sempre all’opera «affinché venga il giorno e che la stella del mattino si alzi nei nostri cuori».

Riflessioni sulla preghiera

Scrivendo alla principessa di Condé, fondatrice delle Benedettine di San Luigi al Tempio, mons. d’Astros le aveva chiesto come pregava. Per tutta risposta, lei gli aprì la sua anima con grande semplicità.
Si vedrà che la più alta regola della preghiera è forse di non averne. Lo Spirito Santo, che trova le sue delizie tra i figli degli uomini, ha fatto presto a entrare in un’anima distaccata da sé stessa e felice di essere nulla:
«Cosa mi sembra? La preghiera non è una scienza da studiare con dei libri, né con sermoni, nemmeno a sé stessi… ma un semplice mezzo per unirsi a Dio, non con l’attrazione per il godere che si può provarvi (ciò non varrebbe nulla, lei lo meglio di me), ma per meglio onorarlo, glorificarlo e amarlo; perché, se ci uniamo a lui, si degna di unirsi a noi, e allora i nostri movimenti del cuore e tutti i nostri sentimenti acquisiscono un premio che non avrebbero sicuramente per sé stessi.
«Quanto a come mi sento, ecco: per prima cosa una grande nullità, dalla quale le assicuro che non cerco di uscirne; se non con qualche esclamazione che proviene dal cuore, come: O mio Dio! O amore! O Gesù! E aggiungo: mi metto alla tua santa presenza per supplicarti di abbassare il tuo sguardo su di me, poiché desidero, per tua grazia, elevare il mio sguardo e il mio cuore verso di te… Poi mi lascio andare a qualche sentimento di affetto, di riconoscenza o di abbandono. Qualche volta non posso abbandonarmi a un sentimento determinato, perché tutti si presentano nello stesso tempo nel mio cuore: che vuoi che faccia? Non lo so; ma tutto di me è tuo… Quello che vuoi che pensi, senta, offra, voglio pensarlo, sentirlo, offrirtelo… faccio di più, mi unisco con tutto ciò al tuo Sacro Cuore e ti offro i suoi pensieri, sentimenti e offerte… Altre volte mi sovviene una parola del Vangelo (dico una); non mi sforzo affatto di riflettere su questa parola… è di Gesù Cristo… dice tutto e non ha bisogno del mio commento per penetrarmi e spingermi a vivere unicamente di questo divino amico…, questo mi sembra il fine preciso di tutti i metodi impiegati per la pietà; trovo anche senza lambiccarmi lo spirito il fondamento della santa religione nella risposta più semplice del catechismo, che è questa: Perché Dio ti ha creato?... Per conoscerlo, amarlo e servirlo, e attraverso questo ottenere la vita eterna. Spesso gli piace penetrarmi di questa verità e darmi la volontà di farne la base della mia condotta nelle diverse circostanze della mia vita.
«Succede anche che attraverso tutti i miei discorsi di cuore senza senso, l’amico fedele mi suggerisca all’improvviso qualche buon pensiero di cui sento più l’utilità che se non mi fossi estenuata e sfinita a farlo nascere in me; sento una specie di sicurezza interiore che viene da lui e cerco di conservarla con rispetto, riconoscenza e amore… ecco, signore, il mio modo di pregare, se lei vuole dargli questo nome; ma è il suo lato migliore e troppo spesso si presenta il peggiore; cioè la freddezza, la noia, la negligenza, le distrazioni troppo poco combattute; è anche questo che provo ed è la risposta alla sua terza domanda. Malgrado tutto, non ripeto solo le mie esclamazioni: o amore! O Gesù! senza dimenticare Amen (che mi piace molto) perché è un acconsentire del mio cuore a tutte le volontà divine, e a tutti i sentimenti del cuore di Gesù; fatto questo, dico, ringrazio ancora Dio, perché non l’avrei potuto fare da sola; poi aggiungo i miei rimpianti per amarlo così poco e male, ma senza turbarmi, perché mi appoggio e mi unisco ai sentimenti di Gesù tutto amore».

[Dom Gérard Calvet O.S.B. (1927-2008), Une règle de vie intérieure, originariamente in Itinéraires, n. V (seconda serie), marzo 1991; poi, in versione aumentata, come pubblicazione a sé stante dal titolo Une règle de vie, Éditions Sainte-Madeleine, Le Barroux 1994; da quest’ultima ripresa in Benedictus. Écrits Spirituels. Tome II, Éditions Sainte-Madeleine, Le Barroux 2010, pp. 376-402 (da cui la presente traduzione; qui pp. 399-402), trad. it. delle monache del Monastero San Benedetto di Bergamo / 8 - fine]

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