venerdì 30 marzo 2012

La liturgia, anima dell’autentica cultura umana e cristiana

È altamente auspicabile, che per essere fruttuoso e legittimo nella Chiesa, il legame tridentino sia fondato non su una protesta identitaria ereditata e difficile da assumere, ma su un’autentica cultura umana e cristiana di cui la liturgia sia l’anima, ben più che l’insegna; una cultura di cui la liturgia sia il poema il più segreto e il più resistente alle ingiurie della vita. Se al giorno d’oggi i genitori intendono crescere i loro figli nell’attaccamento tridentino, lo devono approcciare con una grande onestà ecclesiale; intendo dire, non come l’elemento vincolante di un certo profilo sociologico, ma – in tutto rigore di coscienza cristiana – come un fattore di crescita battesimale.

[François Cassingena-Trévedy, Moine de Ligugé, Te igitur. Le missel de saint Pie V. Herméneutique et déontologie d’un attachement, Ad Solem, Ginevra 2007, p. 57, trad. it. di fr. Romualdo Obl.S.B.]

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lunedì 26 marzo 2012

Nella gioia del più intenso desiderio spirituale

Vi è noto il rito solenne del nostro mercoledì delle Ceneri: dopo l’ora di Nona, i monaci, rivestiti della cocolla, si recano in capitolo; un fratello legge al pulpito il capitolo XLIX della Regola di san Benedetto, De Quadragesimae observatione, cui fa seguito un breve commento del Padre Abate, il quale distribuisce a ogni fratello il suo libro per la Quaresima, scelto attentamente in precedenza.
Quest’anno il Padre Abate si è soffermato sul brano della Regola in cui la lista delle mortificazioni in uso si conclude così: il monaco «attenda la santa Pasqua nella gioia del più intenso desiderio spirituale». Ecco quindi qual è il fondo della spiritualità della Quaresima: attendere la santa Pasqua! Tuttavia, sappiamo attendere? Vi sono vari modi di attendere; quello passivo del viaggiatore che aspetta un treno e quello assai diverso del naufrago che allo stesso tempo attende e spera, facendo grandi gesti. Attendere significa allora tendere verso, essere tesi con tutto il proprio desiderio verso la grazia di una liberazione suprema. Il nostro santo Padre Benedetto precisa che questa tensione dell’anima dev’essere accompagnata dalla gioia del più intenso desiderio spirituale. Sembra paradossale dire che la Quaresima sia un tempo di gioia, ma è questa un’idea molto ricca, assai suggestiva, pregna di molte implicazioni.
Cari oblati, vorrei che ne foste riempiti, per due ragioni. Anzitutto perché è lo spirito medesimo della liturgia, che è essenzialmente un’opera di gioia; inoltre perché la gioia della speranza, più di ogni altra cosa, apre i cuori ai grandi avvenimenti della vita: abitati dall’immagine di una gioia futura, i fidanzati pensano al matrimonio, i catecumeni al battesimo, i prigionieri alla libertà; nessuno potrebbe nutrire un qualunque desiderio se non portasse in sé stesso una certa immagine della cosa desiderata.
Tutta la nobiltà della vita proviene dalla qualità del desiderio che ciascuno porta in sé perché tale desiderio, per la sua stessa forza, ci proietta in maniera quasi invincibile verso il pieno compimento del nostro destino. È per fare nascere in noi questo santo desiderio che nel tempo quaresimale la Chiesa pone sulle nostre labbra questo inno delle Lodi che vi è ben noto: «Dies venit, dies tua, per quam reflorent omnia; laetemur in hac ut tuae per hanc reducti gratiae», «eccolo il tuo giorno, nel quale tutto rifiorisce; rallegriamoci perché è opera della tua grazia».
Cari amici, anche se siete stati privi dello splendore delle cerimonie in cui la liturgia mette in opera tutte le risorse della sua arte, cercate almeno di leggere questi grandi testi e di entrare nello spirito interiore che li anima. Cercate, ve ne supplico, di gustare quel profumo di vittoria che depone in noi il mistero della Risurrezione e di rinfrescare la vostra anima nel ritorno dell’alleluia; cercate di lasciarvi catturare dalla verità di una liberazione di cui la Chiesa  ci affida il deposito in attesa del gran giorno dell’eternità.
Poi, se Dio ce ne dà la grazia, che la forza del nostro desiderio ci conduca al di là degli orizzonti terrestri, al di là dell’umano, verso il compimento definitivo della nostra ultima Pasqua, formidabile passaggio ma di una dolcezza infinita perché sfocia sulla paternità di Dio. Ascoltate anticipatamente il Cristo che parla a suo Padre nell’introito alla messa di Pasqua: «Sono risorto e sono ancora con te, alleluia. Ponesti la tua mano su di me, alleluia. Mirabile si è dimostrata la tua scienza, alleluia, alleluia!».
Ecco verso quale gioia tutta interiore, così soprannaturale e così calma, deve tendere il desiderio dell’anima in questi ultimi giorni di Quaresima.

[Dom Gérard Calvet O.S.B. (1927-2008), Avec la joie d’un désir spirituel, 29 marzo 1992, in Benedictus. Tome III. Lettres aux oblats, Éditions Sainte-Madeleine, Le Barroux 2011, pp. 79-81, trad. it. di fr. Romualdo Obl.S.B.]

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mercoledì 21 marzo 2012

Die 21 martii - S. P. N. Benedicti Abbatis

Fuit vir vitæ venerabilis, gratia Benedictus et nomine,
qui ab ipso pueritiæ suæ tempore cor gerens senile,
ætatem morbus transiens,
nulli animum voluptati dedit.

V. Ora pro nobis sancte Pater Benedicte.
R. Ut digni efficiamur promissionibus Christi.


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lunedì 19 marzo 2012

Sul buon zelo nel tempo quaresimale


San Benedetto in un disegno di Albert Gérard
I novizi sono generalmente pieni d’energia. Talora occorre addirittura moderarli. Un giorno Dom Gérard disse a uno di costoro, tutto preso nell’attività manuale: «Attenzione, bisogna durare: al giorno d’oggi le vocazioni sono rare». Dom Gérard conosceva bene la differenza fra attivismo e zelo. Ce l’ha insegnata con la sua fedeltà all’ufficio di Mattutino, alla lectio divina, alla preghiera, alla corrispondenza…
La Regola di san Benedetto si conclude con un bel capitolo sul buon zelo che i monaci devono coltivare. In realtà, tutta la Regola è un grande richiamo a questa virtù. San Benedetto sa bene che la pigrizia spirituale minaccia il monaco come il leone minaccia la sua preda. La si chiama il demone meridiano, quando il sole raggiunge lo zenit e sembra non avanzare oltre. Il tempo appare lungo. Il povero monaco inizia a sbadigliare al tavolo di lettura, a guardare fuori dalla finestra, a sognare altri cieli. Gli viene il desiderio di andare a visitare i suoi fratelli, i malati, la propria famiglia. Secondo Evagrio Pontico, dottore di vita spirituale, «l’accidia è un rilassamento dell’anima, ma un rilassamento che non è conforme alla natura e non resiste valorosamente alle tentazioni». Si tratta di una pigrizia colpevole che si disinteressa delle cose spirituali. Così come, senza sforzo, non si possono gustare le gioie spirituali, l’anima vaga a cercarne altre più facili e quindi più basse. Giacché, secondo il principio formulato ammirevolmente da Aristotele, «all’uomo è impossibile vivere lungamente senza alcuna gioia».
Ma la pigrizia spirituale non è esclusiva dei monaci; essa riguarda tutti e può persino diventare contagiosa. L’uomo è così influenzabile! Padre de Vogüé, deceduto recentemente dopo una lunga vita monastica alla Pierre-qui-Vire, piena di duro lavoro, lo ha giustamente notato: «Quando si legge che l’accidia è un’“atonia”, come non pensare all’enorme caduta di tensione che ha fatto seguito all’ultimo Concilio, con migliaia di defezioni nel clero e nella vita religiosa? E quando ci viene detto che è l’instabilità a caratterizzare l’accidioso, il nostro pensiero ritorna invincibilmente a un altro aspetto dell’aggiornamento post-conciliare: la brama di cambiare. Senza dubbio s’invocavano le aspirazioni della gioventù, ma quelli che lo facevano erano troppo spesso uomini di 40 anni e più, la cui sollecitudine per i giovani nascondeva male l’indigenza spirituale e il lassismo».
Veniamo tuttavia ai rimedi. Il modo migliore di salvare il mondo e la Chiesa è di coltivare il buon zelo al fine di propagarlo attorno a sé. Per amare il Signore con forza, bisogna conoscerlo. Se ci costa così tanta fatica pregare e fare il bene, è anzitutto perché non conosciamo il Signore Gesù. Per conoscerlo intimamente, occorre iniziare con la lettura dei Vangeli. Vediamo cosa dice sant’Ambrogio: «Quando prendiamo in mano con fede le sante Scritture e le leggiamo con la Chiesa, l’uomo ritorna a camminare con Dio nel paradiso» (Lettera 49, 3 ; PL 16, col. 1204). Perché non assumere come risoluzione quaresimale di leggere un Vangelo per intero e in maniera continuativa, o il messale, come fanno alcuni monaci? In spirito penitenziale, come ci ricorda il Santo Padre nella Verbum Domini. «Ai fedeli cristiani che leggono almeno mezzora la Sacra Scrittura secondo i testi approvati dall’autorità competente, con la venerazione dovuta alla Parola di Dio e con un fine spirituale, è concessa un’indulgenza plenaria; se la lettura dura meno di mezzora, l’indulgenza sarà parziale» (Penitenzieria Apostolica, Enchiridion indulgentiarum [16 luglio 1999], Aliae concessiones, 30, § 1).
Imparare a memoria un brano del Vangelo e ruminarlo è sempre occasione di una grande gioia. Per esempio, può trattarsi dell’Annunciazione o delle Beatitudini. Per i più coraggiosi sarà il capitolo 17 del Vangelo di san Giovanni, o semplicemente la sua meravigliosa conclusione: «Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto, e questi hanno conosciuto che tu mi hai mandato. E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro».
Buona Quaresima!

[Dom Louis-Marie Geyer d’Orth O.S.B., abate del monastero Sainte-Madeleine di Le Barroux, editoriale di Les amis du monastère, n. 141, 7 marzo 2012, pp. 1-2, trad. it di fr. Romualdo Obl.S.B.]

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martedì 13 marzo 2012

Un romanzo su san Benedetto

Louis de Wohl, La città di Dio. Storia di san Benedetto, trad. it., Rizzoli, Milano 2012, pp. 382.

La storia di san Benedetto e del suo tempo. Un’ottima lettura per comprendere la drammatica situazione di quel tempo, la straordinaria risposta di san Benedetto e le analogie tra quel mondo devastato, il nostro mondo devastato e la risposta che ci è chiesta.

Louis de Wohl (1903-1961), tedesco di padre ungherese e madre austriaca, dopo essere fuggito dalla Germania nazista nel 1935 prestò servizio come capitano nell’esercito britannico durante la Seconda guerra mondiale. Instancabile viaggiatore e astronomo, fu uno degli scrittori più letti negli Stati Uniti. I suoi romanzi sono stati tradotti in dodici lingue; sedici dei suoi libri sono stati oggetto di trasposizioni cinematografiche. Tra le sue opere, le biografie romanzate di san Tommaso d’Aquino (La liberazione del gigante), di Elena madre dell’imperatore Costantino (L’albero della vita), di santa Caterina da Siena (La mia natura è il fuoco).

Le strade dell'antica Roma sono in tumulto per la visita ufficiale di Teodorico, re degli Ostrogoti e nuovo re d’Italia. Tra la folla si nasconde un ragazzino determinato ad assassinare il conquistatore barbaro, ma il tentativo viene stroncato sul nascere dalle guardie reali. Il giovane attentatore si chiama Pietro ed è il figlio adottivo del nobile filosofo romano Boezio. A portarlo in salvo è Benedetto, giovane studente, che diventerà suo tutore. Inizia così la storia di Benedetto da Norcia: in una Roma in rovina, lasciva e immorale, dominata dalle forze barbariche. Un deserto spirituale dal quale Benedetto saprà allontanarsi, trascorrendo lunghi anni in solitudine per poi dare vita a comunità religiose destinate a diventare fulgidi esempi della sua Regola, fino alla fondazione del celebre monastero di Montecassino, la cittadella di Dio: dentro e fuori le sue mura san Benedetto saprà lasciare un'impronta indelebile.

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lunedì 5 marzo 2012

Cercare Dio - Benedettini a Norcia

[Lo scorso novembre abbiamo pubblicato il trailer di un documentario, allora in fase di preparazione, riguardante il Monastero di San Benedetto a Norcia, di cui ci eravamo già occupati in precedenza. Siamo ora lieti di pubblicare l'integralità del documentario, della durata totale di 40 minuti.]



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