mercoledì 9 maggio 2012

Lo scopo della vita interiore: la ricerca di Dio

[È con vero piacere che annunciamo l’uscita di un nuovo libro pubblicato dalle Éditions Sainte-Madeleine dell’abbazia benedettina di Le Barroux, dedicato a scoprire e ad approfondire la vita interiore. Il volume, firmato da Un moine bénédictin, ha per titolo Découvrir la vie intérieure. Peut-on devenir l’ami de Dieu? (188 pp., 14,00 euro) e lo si può acquistare tramite la sezione “boutique” del sito Internet dell’abbazia. Invitando calorosamente gli amici di Romualdica alla lettura di questo prezioso testo, offriamo un assaggio del primo capitolo, grazie alla traduzione che ci è stata gentilmente assicurata da sr. Bertilla, oblata del monastero Sainte-Madeleine.]

«Quærite Deum, et vivet anima vestra»
Sal 68,33

«Che cosa cercate?». Sono le prime parole che san Giovanni pone nel suo Vangelo sulle labbra di Nostro Signore (Gv 1,38). La domanda gli era stata posta personalmente, insieme ad Andrea, quando s’impegnarono nella sequela del Maestro. Non l’ha mai dimenticata. Sulla soglia di questo libro, come sul portico d’ingresso della vita interiore, Gesù ci pone la medesima domanda: «Che cosa cercate?». Qual è il senso della nostra vita, la sorgente della nostra esistenza, il fine che perseguiamo? Il cardinale de Bérulle, figura di spicco della Scuola francese di spiritualità del secolo XVII, sottolinea:
«Tutti noi cerchiamo la vita e ignoriamo dove risiede. La vita, la vera vita dell’uomo, non consiste nelle bassezze della terra, nelle delizie del corpo, nelle vanità del cuore, negli onori del mondo e, in una parola, al di fuori di noi… La vita, la vera vita, è in noi, è nell’anima stessa, è nella cosa più propria e intima dell’anima, che è la conoscenza di Dio» [1].
Ma di che conoscenza si tratta? In primo luogo, non di una scienza da acquisire o di una realizzazione personale, ma di un incontro con qualcuno, della scoperta di un Altro.
Per cogliere la purezza d’intenzione che Dio pretende da noi in tale ricerca dello scopo della vita, ecco un’antica storia monastica, il racconto dell’eremita della foresta dei Vosgi. La sua grande reputazione di santità attirava numerosi giovani desiderosi di diventare suoi discepoli. Erano stati tutti rifiutati, tranne uno. La ragione di tale privilegio fu rivelata dallo stesso discepolo dopo la morte del suo maestro.
Ogni volta che un postulante alla vita monastica veniva a bussare alla sua porta, il vecchio eremita gli chiedeva sempre la stessa cosa. Gli domandava perché volesse farsi monaco. La prima volta che il nostro giovane andò dall’eremita, egli gli diede questa risposta:
«Perché voglio imparare a pregare».
«Perché?», gli rispose il vecchio saggio.
«Perché è la scienza più alta».
«Mi dispiace, ma non posso accettarti».
Il nostro aspirante ripartì contrariato, prima di tornare qualche mese più tardi.
«Perché vuoi imparare a pregare?», gli chiese nuovamente l’eremita.
«Per diventare un santo», disse il giovane uomo.
«Sono desolato – rispose il vecchio –, ma non posso accettarti».
Dopo alcuni anni passati a provare a dimenticare il suo vecchio sogno, e ancora perseguitato dal suo desiderio di vita monastica, il giovane uomo riprese il cammino dell’eremitaggio una notte di Natale e disse al vecchio eremita assorto nella preghiera, senza neppure lasciargli il tempo di porre la propria domanda: «Perché voglio trovare Dio!». Allora l’anziano lo accolse a braccia aperte.
Per ammettere un candidato che viene a bussare alla porta del monastero, san Benedetto non esige in definitiva che una sola cosa e considera un solo criterio di vocazione: che l’aspirante cerchi veramente Dio [2]. Lo scopo della vita monastica, come della vita cristiana, non è principalmente di ottenere una perfezione morale. Lo scopo è Dio: amarlo, conoscerlo, servirlo. Questo cambia tutto… perché il monaco, come tutti i cristiani, è colui per il quale Dio è prima di tutto una persona il cui incontro cambia la propria vita.
La domanda iniziale: «Che cosa cercate?» si precisa allora in «Chi cerchi?» (Gv 20,15). È la domanda posta a Maria Maddalena nel giardino del sepolcro dopo la Risurrezione. Un testo medievale, piccolo gioiello della letteratura monastica, sviluppa il dialogo tra Gesù e Maria Maddalena, nel quale il Maestro la invita a passare dalla ricerca esteriore a quella interiore:
«Donna, perché piangi? Chi cerchi? Tu possiedi colui che cerchi e non lo sai! Possiedi la gioia vera ed eterna, e piangi! Possiedi all’interno colui che cerchi all’esterno! In realtà, tu stai all’esterno piangendo vicina alla tomba. La tua anima è il mio sepolcro: io lì non sono morto; vivo, lì mi riposo per sempre, la tua anima è il mio giardino: hai ben visto che io sono il giardiniere; sono il nuovo Adamo, coltivo e custodisco il mio giardino di delizie. Il tuo pianto, il tuo amore, il tuo desiderio, sono opera mia. Mi possiedi in te e non lo sai, ecco perché mi cerchi all’esterno, ed ecco perché appaio esteriormente, per riportarti nell’interiorità, affinché tu trovi all’interno ciò che cerchi all’esterno. Maria, io ti conosco per nome: impara a conoscermi attraverso la fede».
«“Rabbunì!”, che significa “Maestro”; in altre parole: sii per me un maestro che m’insegna a cercarti, a toccarti, a versare per te i miei profumi» [3].
Ripetiamo con Maria questa preghiera: Signore, insegnaci a cercarti! Accresci il nostro desiderio di amarti, di conoscerti! Questo desiderio di Dio ci trasforma, perché noi siamo ciò che attendiamo. «Dimmi cosa desideri e ti dirò chi sei». Se il nostro cuore è rivolto alle cose di quaggiù, si abbassa al loro livello. Ma se il nostro cuore è attratto dalle cose divine, allora Dio lo eleva fino a sé.
Tuttavia, nella nostra ricerca, non dimentichiamo che ogni ricerca di Dio da parte nostra non è che una risposta alla grazia che ci previene, ci sollecita e ci conduce dolcemente e con forza. È ciò che osserva san Giovanni della Croce: «Bisogna sapere che se l’anima cerca Dio, il suo Amato la cerca con amore infinitamente maggiore» [4].

[1] Œuvres de piété, II.
[2] Cfr. Regola di san Benedetto, cap. LVIII.
[3] Frequentemente attribuito a san Bernardo, questo testo è in realtà l’opera di un certo Dreux, monaco di san Nicasio a Reims, estratto dalle sue Meditazioni sulla Passione e la Resurrezione (cap. XV).
[4] Fiamma viva d’amor B, III, 28.

[Un moine bénédictin, Découvrir la vie intérieure. Peut-on devenir l’ami de Dieu?, Éditions Sainte-Madeleine, Le Barroux 2012, pp. 17-20, trad. it. di sr. Bertilla Obl.S.B.]

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