lunedì 7 aprile 2014

La gioia in Rancé / prima parte

È ancora possibile a un monaco di leggere Rancé [Dom Armand-Jean Le Bouthillier de Rancé (1626-1700)] come se non avesse mai sentito parlare di lui, come se non sapesse nulla delle controversie che il suo nome evoca immediatamente? In ogni caso, dev’essere difficile, e fra quanti parlano di lui e lo giudicano, sono rari quelli che hanno letto le sue opere, con o senza passione. Immaginiamo il lettore ingenuo che legge Rancé non in quanto storico, per giudicarlo, ma da monaco, per edificarsi. Cosa troverà? Cose caduche, come in tutte le opere antiche. Ma non rimarrà nulla di valido, e cosa? Sarà molto o poco? A priori, è possibile prevedere che ciò che resta di positivo non sia poca cosa. Uno dei segni della grandezza di Rancé non è il fatto che scrittori come Chateaubriand e Bremond non abbiano disdegnato di occuparsi di lui? La sfortuna vuole che fossero vittime del loro talento. Ciò di cui oggi Rancé avrebbe bisogno sarebbe uno storico calmo e sicuro, che domini il proprio metodo. Si veda il monumento di erudizione che ha iniziato a costruire mons. Leflon a proposito di Eugène de Mazenod [1].
Così, anni di pazienti ricerche di documenti, di lettere, di testimonianze lasciate da Rancé o dai suoi contemporanei, di analisi imparziali di tutti i tasselli di questo dossier, permetterebbero certamente di “situare” l’opera e la persona di Rancé in un insieme alla luce del quale lo si potrebbe infine giudicare, e anzitutto comprendere. Un tale studio storico dovrebbe duplicarsi in uno studio d’interpretazione dottrinale e letteraria. Vi sarebbero da determinare quali siano le fonti di Rancé. Le numerose e lunghe citazioni sulle quali spesso si basa sono tratte direttamente dai testi, o sono dovute a intermediari come il Baronius? Come concepiva la storia monastica, l’evoluzione delle istituzioni? Differiva in questo dai suoi contemporanei? Quale uso faceva della Sacra Scrittura, dei Padri, di san Bernardo? La sua dottrina sulle “mitigazioni” è veramente lontana da quella di san Bernardo in quel De praecepto et dispensatione che cita così volentieri? Quale parte spetta, nello stile di Rancé, come in quello di un san Bernardo o di un san Pier Damiani, ai procedimenti d’espressione del suo tempo? Questo forse spiegherebbe alcune “esagerazioni” – nell’accezione del termine della tradizione retorica – simili a quelle che si potrebbero rilevare in molti dei suoi contemporanei, se per avventura li si leggesse ancora.
Si potrebbe allungare la lista dei problemi che sarebbero nel programma di un’inchiesta esaustiva, da cui siamo ancora così lontani. Nell’attesa s’impone un’estrema prudenza. Almeno si può già, con il senno di tre secoli dopo, invocare il “giudizio della storia”. In effetti, dov’era la vita, quella vitalità che – talora attraverso lunghi periodi di scacco apparente – garantisce l’avvenire? Già all’epoca del conflitto che nel secolo XII oppose Cluny a Cîteaux, Cluny appariva come una forma ancora assai onesta di vita monastica; ma lo slancio, la giovinezza e le promesse di crescita erano altrove. Ugualmente, si può ritenere che doveva esserci una forza intensa nel pensiero di un uomo la cui opera alimenta una tradizione che, fino a una generazione ancora assai prossima a noi, ha costituito il vigore di un’istituzione come l’Ordine Cistercense della Stretta Osservanza.
Qui non sarà sviluppato che un punto particolare, e in una sola opera di Rancé – ma fondamentale –, il trattato De la sainteté et des devoirs de la vie monastique, dove egli aveva esposto un ideale che i suoi altri scritti commenteranno, difenderanno, ridurranno in “Costituzioni”, in programma di vita [2]. Quando si percorre questo libro con il pregiudizio che si trova nella descrizione dell’“oscura Trappa”, non si può che rimanere stupiti di vedervi parlare della gioia. Ci si accorge ben presto che non si tratta per nulla di allusioni rapide e rare, ma di menzioni frequenti e talora sviluppate, di quelle che rivelano una delle “costanti” di una psicologia. Raccogliamo qui, semplicemente, alcune di queste formule.
 
[1] Eugène de Mazenod, évêque de Marseille, fondateur des missionaires oblats de Marie Immaculée, 1782-1861, T. I, De la noblesse de robe au ministère des pauvres. Les étapes d'une vocation, 1782-1814, Parigi 1957; T. II, Missions de Provence. Restauration du diocèse de Marseille, 1814-1837, Parigi 1960.
[2] Le citazioni del trattato De la sainteté et des devoirs de la vie monastique sono qui fornite a partire dalla 2a ed., F. Muguet, Parigi 1683. Per comodità di lettura, l'ortografia e la punteggiatura sono state uniformate alle usanze di oggi.
 
[Dom Jean Leclercq O.S.B., La joie dans Rancé, Collectanea Ordinis Cisterciensium Reformatorum, 25 (1963), pp. 206-215 (qui pp. 206-207), trad. it di fr. Romualdo Obl.S.B. / 1 - segue]

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