lunedì 19 ottobre 2015

Et semper superexaltet misericordiam iudicio

Bernardo Luca Sanz (c. 1650-c. 1710),
San Benedetto, olio su tela del 1700, presso
il Monastero San Benedetto di Bergamo
Il codice penitenziale della Regola di san Benedetto

Consentitemi di parlarvi del codice penitenziale della Regola, che rappresenta una parte alquanto lunga e apparentemente spaventosa dell’opera di san Benedetto. Ma il santo fondatore ci rassicura immediatamente. Il codice penitenziale è al cuore di una visione più grande e più luminosa. Il monastero è fondamentalmente una scuola al servizio del Signore e una strada che segue un orientamento positivo. Nello spirito di san Benedetto, Dio ha messo del bene in noi, ci invita a seguirlo nella gloria e ad aprire i nostri occhi alla luce che divinizza. San Benedetto parla inoltre della dolcezza della virtù e della carità che scaccia ogni timore. Infine, egli conclude la sua Regola sul buon zelo e su un’umile constatazione: non tutto è contenuto nei 73 capitoli della Regola. Egli lascia così dei grandi confini in prospettiva.
Ma san Benedetto sa anche che il monaco è un peccatore, che egli sia abate, priore, ufficiale, fratello anziano, adulto o novizio. Se il peccato non è al centro della sua spiritualità, esso rimane comunque là, assai presente. Ecco perché, come padre colmo di saggezza realista, egli dedica una parte non trascurabile della sua Regola a un codice penitenziale, che respira con i suoi due polmoni: la giustizia e la misericordia.

La giustizia

San Benedetto fonda anzitutto il suo codice penitenziale sulla giustizia, in tre modi.

a) Un contratto

Il monaco che fa la sua professione conosce la Regola, riferimento oggettivo per tutti. Essa dev’essere letta spesso, per escludere ogni pretesa d’ignoranza. La Regola non è un regolamento di caserma, ma una regola di vita con un regolamento conosciuto e accettato. Si sa quel che si può fare e ciò che non si deve fare. A Vicovaro, il monastero dove egli ha esercitato il suo primo ministero d’abate, san Benedetto non permise più ciò che era interdetto dalla Regola in vigore in quel luogo. Questo gli valse un tentativo di assassinarlo da parte dei suoi monaci.
Il riferimento alla Regola si oppone alla decadenza della comunità, come pure all’arbitrarietà e alle passioni dei superiori: collera, gelosia e abuso o, in altro senso, accecamento, indolenza e affetto particolare troppo indulgente. Si tratta di una medesima Regola e quindi della stessa luce per tutti: perché la giustizia è fondamentalmente oggettiva.
Infine, compete all’autorità, e non a qualunque fratello, il diritto e il dovere di correggere. Del resto, quelli che correggono gli altri senza mandato, saranno essi stessi corretti, e così la Regola vale per tutti.

b) Una giusta proporzione

Non si tratta del precetto “occhio per occhio, dente per dente” dell’antica legge – che d’altro canto frenava l’esagerazione della vendetta –, ma della giusta proporzione fra la dose del rimedio da applicare e l’ampiezza del male da sradicare.
I fatti pubblici dovranno essere riparati pubblicamente. Dom Gérard ci disse un giorno in capitolo che la legge morale era un po’ come una barriera. Rompendola, anche solo una volta, la comunità poteva immaginare di non esistere più. È quindi necessario riparare pubblicamente, rimettere in sesto questa barriera, per l’edificazione di tutti, ma anche per una più grande onta del colpevole, al fine di guarirlo. In questo modo il bene comune è rispettato.
Più la colpa è grave o più volte essa è ripetuta – il fratello mostrando in ciò una mancanza di buona volontà –, maggiormente la penitenza dovrà essere importante. Per esempio, i ritardi meritano la pena leggera di rimanere all’ultimo posto in coro. Ma la disobbedienza scandalosa merita fino all’esclusione. In sintesi, la pena sarà tanto più rigorosa quanto più la colpa è grave.
Quanto più il fratello ha delle responsabilità, maggiormente si deve applicare il codice penitenziale, perché la corruzione dei migliori è sempre la peggiore. Occorre in effetti tenere conto del cattivo esempio e le inevitabili prese di parte della comunità che possono conseguirne.
Due ragioni spiegano l’imposizione rapida della pena: da una parte perché il vizio o la cattiva abitudine contratta non ingrandiscano. D’altro canto, affinché il nesso fra la colpa e la sanzione sia sensibile. Giacché non serve a nulla rimproverare a qualcuno una colpa commessa da sei mesi!
Concretamente, devo precisare che le colpe menzionate da san Benedetto sono: il mormorare, disobbedire, la mancanza di puntualità, le colpe di canto al coro, o di cura per i più piccoli, i malati o gli anziani, l’infedeltà nella lettura, le mancanze nel silenzio e nella clausura, e infine la negligenza per le cose materiali, che devono essere trattati come i vasi sacri.

c) Fino in fondo

La pena dovrà seguire una progressione conforme al giudizio dell’abate: egli comincerà con un primo avvertimento, poi un secondo e infine – se necessario – un terzo. In seguito egli passerà alla correzione regolare, a una punizione da compiere, come una visita al santissimo sacramento o la recita del Salmo 22. Se, Dio non voglia, è necessario andare oltre, l’abate può deporre il monaco dalla sua carica. E se tutto questo risulta inefficace, l’abate dovrà spingersi fino all’espulsione del monaco dal monastero; misura estrema la cui procedura canonica assicura la difesa dell’accusato.
La giustizia dev’essere compiuta fino in fondo e non deve semplicemente coprire la colpa con un velo. San Benedetto chiede che il fratello riconosca la propria colpa e faccia penitenza fino a che il Padre Abate avrà giudicato sufficiente la soddisfazione. La giustizia di Dio è una giustificazione; essa rende giusto, trasforma il cuore in profondità, in vista di condurre una nuova vita, sotto la guida del Vangelo e al seguito di Cristo.

La misericordia

La misericordia è ben presente nella Regola e nell’applicazione della giustizia. Essa la precede, l’accompagna e la sorpassa. Si potrebbe dire che essa la compie.
a) La misericordia precede la giustizia, nel senso che la giustizia è una lotta preservante la carità, la virtù e il bene di ciascun fratello. La Regola chiede al superiore di fare un esame di coscienza prima di agire. Per esempio, nel capitolo sul priore, gli chiede di determinare se è la gelosia, la collera o il bene a ispirarlo. Il potere di rendere giustizia esige d’agire in coscienza e necessita una certa attitudine a entrare in sé stesso, al fine di fare prevalere la luce della ragione e della vera carità.
b) Essa l’accompagna, nel senso che la giustizia dev’essere applicata in maniera misericordiosa. Anzitutto, in maniera progressiva, come prima si è detto. Si previene una volta, due volte, se necessario tre volte, e se questo non basta la disciplina regolare ne consegue. Procedendo in tal modo, la giustizia piena di misericordia si richiama alla ragione e non alla brutalità.
La misericordia presta attenzione a non raschiare la ruggine, a non spegnere il lucignolo fumigante. Il Padre Abate deve ricordarsi che è egli stesso oggetto della misericordia di Dio, e che deve togliere la trave dal proprio occhio prima di togliere la pagliuzza dall’occhio dei fratelli. Qualora si giungesse al parossismo, Dio non voglia, e i legami si rompono, il Padre Abate invierà una “senpecta” – un amico fidato – che consolerà il monaco affinché non sia sommerso da eccessiva tristezza. E se tutto questo non sarà sufficiente, rimane infine la misericordia della preghiera, supplicando lo Spirito santo di riscaldare i cuori.
c) Infine, la misericordia sorpassa la giustizia. San Benedetto chiede che il Padre Abate cerchi di essere più amato che temuto. Egli deve sempre fare trionfare la misericordia sulla giustizia. Non fare scomparire la giustizia, ma credere che per convertire i cuori, la misericordia è più efficace della stretta giustizia, affinché i monaci non antepongano assolutamente nulla a Cristo, che ci conduca tutti insieme alla vita eterna.
Voi mi direte: ah!, ciò che chiede san Benedetto è impossibile: andare fino in fondo con la giustizia e fare sempre prevalere la misericordia. Non è impossibile, è il modo di agire della Provvidenza, che guida sempre fortiter e suaviter – con forza e dolcezza –, secondo lo stesso Spirito santo, e che san Gregorio Magno chiama “l’arte delle arti”.

[Dom Louis-Marie Geyer d'Orth O.S.B., abate del monastero Sainte-Madeleine di Le Barroux, Lettre aux oblats, n. 91, 5 ottobre 2015, pp. 1-2, trad. it. di fr. Romualdo Ob.S.B.]

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